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  • Recensione film: Stromboli, Terra di Dio
  • Recensione film: Stromboli, Terra di Dio

    La solitudine umana

    Published by darkglobe on 21-Apr-2017 01:00 (4434 reads)

    Di Stromboli esistono ufficialmente tre versioni: una internazionale (di 106') con i dialoghi misti; una italiana (di 100') e quella rimaneggiata dai produttori della RKO (di 84') per renderla più fruibile al grande pubblico secondo i dettami del linguaggio hollywoodiano.

    Karin (Ingrid Bergman in un ruolo inizialmente destinato alla Magnani) interpreta una giovane lituana che, per poter abbandonare un campo di profughi durante la seconda guerra mondiale, sceglie di sposare Antonio (Mario Vitale, ex pescatore salernitano), un soldato che la corteggia; in questo modo ottiene la cittadinanza italiana dopo che le hanno negato il lasciapassare per l'Argentina, seguendo Antonio nella sua terra d'origine, l'isola di Stromboli. Karin all'arrivo subisce però un duro colpo, comprendendo da subito quanto siano distanti le sue aspettative ed ambizioni di vita dalla semplicità del luogo e dalla grettezza culturale e chiusura mentale degli abitanti dell'isola, luogo in cui diventa una vera e propria prigioniera. Antonio per racimolare dei soldi si fa nel frattempo assumere come pescatore, ma la sua gelosia non aiuta a semplificare la situazione.

    Stromboli è il primo film che Rossellini gira con una splendida Bergman all'apice della sua bellezza e con il quale darà inizio a quella che verrà definita la 'trilogia della solitudine', completata da Europa '51 e Viaggio in Italia. All'uscita del film la critica nazionale è spietata, utilizzando termini come 'fallimento' ed 'involuzione'. In realtà la graduale evoluzione di modernizzazione del linguaggio cinematografico che Rossellini realizza, spingendosi verso un cinema antiletterario, realizzato con una commistione di attori professionisti e gente di strada, è accompagnata da un graduale percorso di emarginazione, se non fosse per il sostegno di una parte (neppure tutta) della redazione dei Cahiers: il trio Rohmer, Truffaut, Rivette, privo dei lacci di una impostazione critica infarcita di ideologismi, pur nella capacità di cogliere con chiarezza e lungimiranza la modernità del nuovo cinema di Rossellini, ne enfatizza la matrice cattolica dell'ispirazione che guida la svolta filmica del regista. Rossellini anni dopo sminuisce questo aspetto, lasciando comunque intendere che non avrebbe all'epoca potuto fa altro che assecondare quella impostazione critica nata dal generoso sostegno dei 'giovani turchi' che costituivano nei fatti un argine alla pioggia di stroncature su di lui piovute all'uscita di questo e dei suoi successivi film.
    Di certo, se manca una componente cattolica, è pienamente e chiaramente ravvisabile il percorso di evoluzione morale della protagonista: lei è una sorta di tentatrice che fa della sua irresistibile avvenenza, della sua bellezza, l'elemento di seduzione in parte involontaria, in parte inconsapevole ma in parte istintivamente connaturata alla sua indole e dunque scientemente utilizzata come strumento di fuga mentale, sensuale e fisica dalla gretta compressione umana e morfologica dell'isola, per potersi dunque liberare dai lacci di quel mondo distante anni luce dalla sua etica evoluta e libera. Ma è proprio la Natura, quella che fino ad allora aveva spietatamente provocato il rigetto di Karin, a rivoltare se stessa, in una violenta fase eruttiva, scatenando nella protagonista una mutata coscienza di sé e del suo essere, conducendola ad una diversa misura con il mondo che la circonda. L'eruzione e la "conversione" della protagonista sono una metafora ed una esortazione a guardare oltre le cose, nella direzione di un "principio spirituale del tutto nuovo".
    Come giustamente osserva Rivette ne la sua Lettera a Rosellini, la novità sorprendente di questo nuovo corso del regista è la recitazione, che qui è "come spenta, uccisa sempre di più da un'esigenza più alta", quella di una "costrizione intima" che obbliga i protagonisti a cancellarsi. [...] Allo "slancio" della recitazione si contrappone "l'abbandono", alla "performance più alta" ricercata nelle dive si sostituisce lo "scioglimento ispirato", i gesti sono come "trattenuti", "conservati in se stessi": ecco la sola recitazione - conclude Rivette - che potremo gustare per un bel pezzo.


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