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  • Recensione film: Arriva John Doe
  • Recensione film: Arriva John Doe

    La svolta di Capra

    Published by darkglobe on 27-Sep-2014 01:00 (858 reads)

    Arriva John Doe è un film molto importante nella storia della cinematografia capriana, perché rappresenta uno snodo topico della carriera del regista. In primo luogo si tratta del primo film senza il contributo di Joseph Walker, fidato direttore della fotografia dei film di Frank Capra, che aveva fino ad allora conferito alle sue opere quello stile semplice e diretto tanto voluto dal regista. In secondo luogo con questo film Capra osa abbandonare dopo oltre trent’anni la Columbia e dunque il modello di produzione hollywoodiano tradizionale, fondando con il suo fedele sceneggiatore Robert Riskin, colui che qualcuno maligna essere il vero artefice di certe trame troppo “caramellose” dei film di Capra, una casa di produzione indipendente. È un azzardo che il regista pagherà caro, con il suo lento ma inesorabile declino, ma il film che ne esce sembra liberare Capra dai vincoli hollywoodiani e gli permette di approntare un film teorico e per certi versi oscuro e pessimista, che ha in sé tutte le bellezze e contraddizioni della produzione indipendente, soprattutto quando questo avviene nell’ambito di una consolidata tradizione formalizzata dalla influenza delle gradi case di produzione hollywoodiane.

    Mr. Jimmy Norton (Edward Arnold), editore facoltoso, dopo aver acquistato un giornale, decide con l’aiuto del caporedattore Connel (James Gleason) di procedere ad una epurazione di gran parte della redazione. La giornalista Anna Mitchell (Barbara Stanwyck ritorna dopo 8 anni a prendere parte ad un film con Capra), anch'essa licenziata, per dispetto si inventa come ultimo articolo una lettera aperta al giornale da parte di un tale John Doe (nome che negli Stati Uniti indica una persona su cui si vuol mantenere l’anonimato) che minaccia di suicidarsi entro l’anno, dopo aver perso da quattro anni il lavoro e disgustato dalla società e dalle ingiustizie del mondo. La lettera ha inaspettatamente un successo enorme e Anna propone al direttore Connel di sfruttare l'occasione, inventandosi un vero John che individuano in "Long" John Willough (Gary Cooper) ex-giocatore di Baseball diventato vagabondo a causa di un problema a un braccio che lo ha escluso dal mondo sportivo, sempre accompagnato dal suo fidato “colonnello” (Walter Brennan), che rappresenta per John un costante richiamo alla libertà e al vagabondaggio, al contrario di Anna che invece ne è la controspinta verso l’efficienza e la stabilità.
    Inizia così la fulminante carriera dell’ex-vagabondo, a cui, con l'accordo dell'editore, Anna scrive discorsi semplici, che lei preleva dal diario del padre ormai morto, discorsi che colpiscono il cuore delle persone che lo leggono e lo ascoltano in radio, risvegliando in loro l'umanità persa e chiedendo a John di non compiere il suicidio che lui ha stabilito per la notte di Natale. Dal canto suo John inizia a far suoi i bisogni della gente, a leggere nei loro occhi comprendendo che gli esseri umani sono soli ed assetati di qualcosa; sorgono inizialmente alcuni club a suo nome che, con la spinta interessata di Norton, si diffondono a macchia d'olio per l'intero paese. Fino a quando Norton capisce che è il momento di utilizzarli per le sue mire di dominio, decidendo di fondare un nuovo partito e chiedendo ad Anna di scrivere per l'ex-sportivo un discorso per l'imminente comizio nazionale del neonato movimento, nel quale dovrà annunciare la creazione del partito e la discesa in campo del magnate, un uomo che dichiarerà di sua totale fiducia per aver sostenuto finanziariamente la nascita dei club. E` a quel punto che John Doe, allertato dal direttore del giornale, si accorge della truffa e, allontanatosi da Anna, della quale era ormai innamorato, decide di svelare tutto in un comizio pubblico, purtroppo preceduto dallo stesso editore che, grazie al suo potere mediatico, gli scatena contro la stampa e lo scredita davanti alla folla come impostore, impedendogli poi di parlare. A Long John non resta che meditare realmente sul suicidio e preparare una lettera che verrà consegnata alla stampa dopo la sua morte.
    Del film Capra gira ben cinque finali e di tutti si dichiara insoddisfatto. Il film del resto appare diverso dai lavori precedenti del regista e, complice anche la fotografia del nuovo direttore George Barnes, tutto appare più cupo, si respira un'aria per certi versi sinistra e siamo lontani dallo stile “happy ending”.
    C’è un senso allegorico in questo film che rappresenta il feroce stridore tra umanità e cinismo del potere, tra pubblico e privato e in qualche modo le vicende di John Doe seguono un canovaccio retorico ispirato ad un percorso di comparsa, caduta e resurrezione del protagonista. John Doe incarna un visionario che combatte contro lo strapotere invadente dei media, delle masse condizionate al pensiero dominante e dello spettacolo che immiserisce le bellezze umane. Il montaggio del film è per certi versi innovativo con il suo copioso fluire di immagini, titoli e dissolvenze che danno il senso dell'invasività e dell'influenza del quinto potere.


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